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La prima storia scritta. L'emozione dell'autore.


Cammino alla scoperta di una scrittrice emergente.

Primo capitolo:

Benvenuti al primo appuntamento di questa nuova rubrica, come avevo accennato precedentemente in questi articoli parlerò di esperienze personali che riguardano direttamente la mia avventura come scrittrice.

Vorrei raccontarvi una storia nella storia, cioè la primissima volta in cui ho scritto un racconto, ma se devo essere completamente onesta allora è giusto che sappiate che non ricordo il giorno in questione nei suoi particolari, non ricordo se fosse estate o inverno, se il cielo fosse nuvoloso o soleggiato, ma ricordo perfettamente che mi trovavo nell'angusta stanza di colore giallino sbiadito e che sedevo al mio banco quadrato e scrostato della scuola elementare del paese in cui vivo tutt'oggi, avevo più o meno sette o otto anni e la maestra affidò alla classe intera il compito di scrivere una storia a tema libero.

La cosa triste è che non ricordo tutti i miei compagni di classe, anche se eravamo in pochi bambini e a volte ci spostavano in altre classi per recuperare spazio, non sono però rimasta in contatto neanche con i pochi che ricordo.

Sedevo in prima o seconda fila, se fossi a destra, sinistra o al centro dell'aula non ricordo, ma l'emozione che provai a sentire quelle semplici parole mi gonfiò il cuore di una gioia immensa, questo lo ricordo perfettamente.

Già allora amavo scrivere, riempivo quaderni su quaderni con pensieri personali, mia madre era solita regalarmi dei diari segreti e a oggi non ho perso l'abitudine di avere un'amica immaginaria a cui raccontare le miei giornate, ma quel giorno non ebbi paura dell'impresa che dovevo affrontare, ma al contrario, mi sentivo pronta per il compito.

Per capire esattamente quello che scrissi è giusto che vi spieghi cosa successe parecchi mesi prima di quel giorno.

Mia madre comprò un Salice Piangente e lo piantò nel nostro giardino, ricordo che gli chiesi perché avesse un nome così ombroso e triste, come se fosse segnato da una sciagura ed ero ancor più curiosa dalla sua forma singolare, con i rami rivolti verso il basso come un capo chino a contemplare la terra, ma non ricordo cosa mia madre rispose e se lo fece non mi piacque quello che disse, perché ero una bambina pignola e cercavo sempre di trovare da sola le risposte più adeguate alle mie domande.

Adesso che avete appreso l'esistenza dell'albero, che vive ancora nel mio giardino e mi guarda ogni volta che esco di casa, posso tornare al giorno che stavo raccontando, ma non ricordo se l'idea per scrivere la storia mi fosse arrivata all'improvviso come un tuono a ciel sereno, o se ci avessi pensato intensamente finché non ebbi avuto l'illuminazione, in ogni caso alla fine decisi di cambiare la storia di quell'albero.

Non accettavo che fosse nato triste, nessuno nasce con il capo chino e così inventai una storia su un albero di nome Salice Sorridente, esso viveva in un remoto bosco insieme alla sua famiglia, aveva un padre e una padre e addirittura dei fratelli e sorelle, lui però era il più piccolo ed erano così numerosi che le loro radici creavano un disegno complesso nel terreno e tutti si intrecciavano come un abbraccio eterno.

Una famiglia felice che si sosteneva a vicenda, ma un giorno sfortunato, all'improvviso, degli umani rumorosi irruppero nel bosco portando scompiglio e dolore.

Sradicarono il povero piccolo portandolo via alla sua quotidianità e lo trasportarono in un luogo lontano, lo lasciarono solo e senza aiuto, ma un giorno una donna dal cuore generoso avendo pena della sua solitudine lo comprò e lo piantò nella sua casa, voleva regalare a sua figlia un amico.

Separato dalla sua famiglia l'albero non riuscì a essere felice e anche se veniva curato con amore e attenzione, la nuova casa non gli apparteneva e così i suoi enormi rami, che erano sempre stati puntati al cielo, come in preghiera, si piegarono verso il suolo e a nulla valsero i tentativi della donna e della bambina, il bel Salice Sorridente diventò Piangente.

La storia finì così e non ricordo che voto presi, ma la maestra si lamentò della lunghezza perché avevo riempito un foglio protocollo ed evidentemente non aveva voglia di correggerlo.

Quel giorno fu l'inizio di un sogno, mi resi conto del miracolo che potevo fare con le parole, fin a quel momento avevo sempre e solo scritto per me stessa, per liberare la mente dalle emozioni che si accavallavano le une sulle altre, ma da quel giorno e grazie a quella storia cambiò il modo con cui mi rapportavo alla scrittura e iniziai a raggruppare la moltitudine di idee per crearne degli scenari veri e propri.

A oggi non ho mai smesso di farlo e non credo che possa mai accadere, la scrittura è parte di me, è un'estensione di chi sono e non potrei vivere senza le miei molteplici personalità racchiuse nei miei personaggi.

Quand'è stata la prima volta che avete scritto una storia? Cosa avete provato?

Al prossimo appuntamento.

Sharon.

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