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Analisi - Il nome della rosa - di Umberto Eco


Analisi " Il nome della rosa " di Umberto Eco:


Premetto da subito che questo articolo non andrà a recensire il " Il nome della rosa".

Non mi sognerei mai di rovinare il mistero dietro a questo manoscritto, al contrario, vorrei semplicemente esprimere la mia opinione al riguardo, limitandomi ad una più personale visione dell'insieme, dalla trama, all'ambientazione e ai personaggi; credo che questo manoscritto sia degno di nota e pertanto merita di essere citato e ricordato nella sua vastità e complessità d'animo. 

Non so chi di voi l'abbia letto e tra quelli che lo hanno fatto, non posso nemmeno sapere cosa ne abbiano tratto, o cosa ne abbiano imparato; personalmente è stata una bella esperienza che rifarei volentieri.

Sarò sincera, ho iniziato il romanzo sotto consiglio di una persona a me cara, erano anni che me ne parlava, ma non credevo si adattasse al genere che di solito prediligo, ma a libro concluso, mi devo ricredere e mi sento di dire, adesso che spero di aver compreso il retro scena, che questo è un libro fatto di libri, un'insieme di pensieri caratterizzati dall'epoca in cui si svolgono le vicende, da idee dettate dalla paura stessa della parola, di rapporti seguitati da insegnamenti, di ideologie tematiche, di teologie intellettuali, ed infine, un mistero nel mistero stesso, anche se all'inizio ho letto nel modo più comune possibile, lasciando alle parole il loro lavoro di spiegazione. 

Come spiega Umberto Eco, ci sono tre tipi di modi per leggere il romanzo:

-   La prima categoria di lettori sarà avvinta dalla trama e dai colpi di scena;

- La seconda categoria di lettori si appassionerà al dibattito di idee, e tenterà connessioni con la nostra attualità;

-   La terza categoria di lettori si renderà conto che questo testo è un tessuto di altri testi, un " giallo " di citazioni, un libro fatto di libri. 

Non posso che ritrovarmi completamente d'accordo e obbligata a schiarimi in una delle tre categorie, cosa che ho spiegato poco prima. 

Ritrovarsi nella mente di un monaco, e doversi adattare al suo modo di pensare che concerne ai tempi in cui si svolgono le vicende, mi ha dato molto da pensare, soprattutto per quanto riguarda il cristianesimo e del mondo in cui la parola di Dio venga interpretata da ognuno in modo nettamente diverso sin dall'inizio dei tempi e mi domando se alla fine l'inquisizione e l'eresia non siamo la stessa cosa.

Al giorno d'oggi ognuno è libero di credere, oppure no, è libero di scegliere cosa sia vero e cosa sia falso; al giorno d'oggi si può scegliere di consacrarsi e credere, ma nel lontano 1327 questo " lusso " non era possibile e la chiesa riteneva che tutti dovessero seguire le regole da essa imposte, le quali imponevano un comportamento, che si sa oggi, non sempre concerne con la persona individuale, sia per carattere che abitudini.

Comunque per tornare in tema, da un lato c'era la chiesa e dall'altro l'impero, un altro potere che non voleva lasciare al Papa unico diritto di parola e così si sono formati gli eretici, coloro che predicavano che Gesù Cristo fosse povero e che quindi anche la chiesa si sarebbe dovuta adattare a tale fondamento, ma sappiamo quanto l'animo umano sia facilmente corruttibile dal potere e dal denaro e così la chiesa, in nome di una falsa testimonianza, ha fatto ammazzare e bruciare quelle povere persone che affermavano ciò che ritenevano giusto.

Ad essere onesta, anch'io sono dello stesso parere e il fatto che posso dirlo, senza subire ripercussioni, mi da ancora molto da pensare su questo manoscritto e del modo in cui le persone erano perseguitate dall'idea della paura stessa, è quasi comico, da un lato, apprendere tali consumi e trovarsi davanti alle parole che non avevano lo stesso significato che usiamo oggi, ad esempio l'amore, i monaci credevano fosse una malattia del corpo e della mente, una peste dalla quale bisognava liberarsi, il voto di castità era sacro, proprio come dovrebbe esserlo anche nel ventunesimo secolo. eppure, proprio perché l'animo umano è così variabile e non consono ad un solo percorso, anche a quei tempi i monaci stessi cedevano alla tentazione della carne.

Infine, come addentrarsi nella mente di un monaco benedettino, i cui anni erano così diversi dai nostri, senza sentirsi smarriti e fuori posto?

La risposta mi è giunta da sola, a fine scritto, quando mi sono resa conto di aver letto lasciando che fosse il narratore a farmi conoscere l'abbazia e così, senza rendermene conto per tutta la lettura, ho appreso di un'epoca in cui la religione era alla base di ogni gesto e pensiero. 

Se avete letto l'edizione stampata da Mondadori nell'anno del 1987, sapete che alla fine ci si ritrova faccia a faccia con Umberto Eco, credo sia il primo libro che mi riserve una sorpresa così straordinaria, anzi mi correggo, è la prima volta che mi capita una cosa del genere. 

L'autore ci spiega quindi la scelta del titolo, che in origine nella sua mente era un altro, ma che poi ha cambiato, per non svelare al lettore quello che si sarebbe dovuto aspettare nelle pagine scritte e così ha optato per quello che tutti noi conosciamo per la sua figura simbolica.

Secondo Umberto, per chiarire ancor meglio la sua presentazione, ci dice che l'autore non deve interpretare, ma raccontare senza dire al lettore come leggere lo scritto.

" Raccontare come si è scritto non significa provare che si è scritto bene ".

Poe diceva " Altro è l'effetto dell'opera e altra la conoscenza del processo ".

Ebbene, queste due citazioni dovrebbero far riflettere a fondo chiunque si dichiari scrittore, perché alla fine, se non si conosce cosa si racconta, ha senso davvero scriverlo? 

Mi astengo dal rispondere, lascerò a voi la possibilità di illuminare questo mistero.

Per continuare con la presentazione di Umberto, ci spiega inoltre, la sua predilezione a celarsi dietro ad una maschera, il mondo in cui è riuscito a celarsi dando voce al narratore, un cronista dal Medio Evo.

Chiarisce che si vergognava a raccontare e così ha lasciato che fosse qualcun altro a farlo al suo posto, come se lui fosse uno spettatore del suo stesso manoscritto.

Si definisce " libero da sospetti ", che poi mi chiedo se sia del tutto vero, insomma all'inizio dell'introduzione si capisce che dietro alle parole si nasconde la sua mente e cito parola per parola:

" Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di un tale abate Vallet ".

A parte l'incipit senza precedenti e che lascia intendere quale strada possano prendere le successive pagine, ma che allo stesso tempo, ti lascia con il fiato sospesa da un'ardente curiosità.

Già da subito Umberto si maschera e passa la parola a Vellet, poi continua dandola al narratore, che nei panni di un vecchio il cui tempo è quasi giunto al termine, racconta la sua avventura nell'abbazia da giovane e ci pone una cronaca di fatti e avvenimenti, ed entrambi caratterizzano il testo con i loro ragionamenti.

Umberto ci spiega anche di come, per raccontare, bisogna anzitutto costruirsi un mondo ed esso è la base di un susseguirsi di eventi che lo potrebbero condurre a diverse trame, inoltre le sequenze devono avere una loro logica. 

Andando avanti nella sua presentazione, mi sono imbattuta nella spiegazione delle cento pagine iniziali.

Esse mi hanno disarmata e appesantita, lo ammetto, sono state lo scoglio posto dall'autore per introdurre il lettore nel mondo sconosciuto da lui descritto. 

Umberto sostiene che se un lettore non riesce ad accettare il ritmo del viaggio iniziale, da lui stesso scandito con puntigliosità, non riuscirebbe mai ad entrare nell'abbazia e nel vivo del racconto. 

Ammetto con orgoglio, forse lo stesso che muove Guglielmo per tutta la sua ricerca, che quando mi sono resa conto di essere riuscita in un'impresa non nota a tutti, di aver ancor di più amato questo straordinario manoscritto, perché proprio come ci spiega Umberto, il lettore era già stato costruito dall'autore stesse inserendo lo scoglio delle cento pagine.

Come lettrice, la parte che potrebbe definirsi come un " giallo " mi ha molto tenuta con il fiato sospeso e con un'ardente curiosità che mi ha fatto temere di fare la stessa fine di Bencio, impossibilitata a sapere e a obbiettivo raggiunto, impossibilitata ad uscine.

Alla fine la vera indagine poliziesca deve provare che i colpevoli siamo noi.

Come ultima citazione: " I libri si parlano tra loro ".

Abbiamo potuto appurarlo grazie al misterioso labirinto della biblioteca, un luogo celato e inaccessibile, contenitore di segreti non adatti a menti semplici, contenitore anche di segreti pericolosi e volumi eretici, che in mani sbagliate avrebbero potuto distruggere l'idea stessa della cristianità.

Con quest'ultima divulgazione, mi fermo e mi astengo dal raccontare altro, per non rovinare una storia che non può essere sentita, né letta, ma vista con gli occhi di chi sa cosa guardare. 

Chi conosce " Il nome della rosa " sa cosa intendo, chi invece non sa di cosa sto parlando, consiglio di leggere questo manoscritto senza aspettative, forse come unica eccezione di farsi condurre dal ritmo del narratore nei misteri di un tempo antico e di apocalissi dell'Anticristo.

A tal proposito, ci tengo a trascrivere una citazione di Jorge, la quale mi ha illuminato una via che non conoscevo e un percorso non facile da intraprendere e per la verità che le parole contengono, per i molteplici significati che si possono trarre, a voi le vostre considerazioni:

" è il momento che tutto cadrà nell'arbitrio, i figli solleveranno le mani contro i genitori, la moglie tramerà contro al marito, il marito chiamerà a giudizio la moglie, i padroni saranno disumani coi servi e i servi disobbediranno ai padroni, no vi sarà più reverenza per gli anziani, gli adolescenti chiameranno il comando, il lavoro parrà a tutti una inutile fatica, dovunque si alzeranno cantici di gloria alla licenza, al vizio, alla dissoluta libertà dei costumi. E dopo di ciò, stupri, adulteri, spergiuri, peccati contro natura seguiranno a grande ondata, e mali, e divinazioni, e incantesimi, e appariranno nel cielo corpi volanti, sorgeranno in mezzo ai buoni cristiani falsi profeti, falsi apostoli, corruttori, impostori, stregoni, stupratori, avari, spergiuri e falsificazioni, i pastori si trasformeranno in lupi, i sacerdoti mentiranno, i monaci desiderano le cose del mondo, i poveri non accoreranno in aiuto dei capi, i potenti saranno senza misericordia, i giusti si faranno testimoni di ingiustizia. Tutte le città saranno scosse da terremoti, vi saranno pestilenze in tutte le regioni, tempeste di vento solleveranno la terra, i campi saranno contaminati, il mare secernerà umori nerastri, nuovi sconosciuti prodigi avran luogo nella luna, le stelle abbandoneranno il loro corso normale, altre - ignote - solcheranno il cielo, nevicherà d'estate e farà caldo torrido d'inverno. 
E saranno venuti i tempi della fine e la fine dei tempi ". 

Considerato che tali parole appartengono all'anno del 1327 e visto che oggi gran parte di essa si sono realizzate, non siamo forse tutti eretici? 

PS: Mi rendo conto della lunghezza di questo articolo e in origine l'avevo diviso in due parti, ma poi ho deciso di seguire l'esempio di Umberto. 
Quindi, caro lettore, se sei arrivato fino alla fine, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi. 
Il tuo parere è importante, ma non dimenticarti di esprimerlo! 

A presto, come sempre la vostra Sharon 






Commenti

  1. Sono Gerald
    Un bella analisi che concordo. Pur non considerando Il Nome della Rosa il miglior libro di Eco (IL Pendolo di Foucault lo considero migliore) riconosco l'impatto notevole che ebbe a suo tempo sul panorama letterario italiano. Lo considero un antesigano dei tanti romanzi che oggi imperversano nelle librerie sull'onda dell'immeritato successo de Il Codice da Vinci. Con una differenza; nel libro di Eco ci immergiamo pienamente nel medio Evo, respiriamo la sua atmosfera fatta di pregiudizi, paure, dogmi e una religiosità che pervade ogni istante dell'esistenza umana, lasciando nessuno spazio alla ragione e al libero arbitrio (continua).

    RispondiElimina
  2. (continua) Un romanzo eccezionale per il modo in cui l'autore ha saputo ricreare qual mondo e antico servendosi di un arteficio (quello del manoscritto ritrovato) che no è una novità, ma che viene utilizzato con estrema perizia. In questo si dimostra l'enciclopedica cultura di Eco, il suo talento narrativo; uno scrittore che come pochi, riesce ad ammaliare con la parola, della quale si dimostra un maestro. Questo è ancor più visibile ne Il Pendolo di Foucault, dove seguendo un tortuoso intreccio ci offre uno sguardo d'insieme dei miti dell'esoterismo, disvelandone le origini e dimostrando una conoscenza della cultura occidentale che ho riscontrato solo in altro genio, Elemire Zolla, i cui saggi sul simbolismo e le religioni costituiscono, anche alla luce dell'influenza junghiana, un caposaldo del pensiero.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Gerald;
      Grazie per questa bella conversazione.
      Devo essere onesta, non ho letto - Il pendolo di Foucault - e spero di riuscire a farlo al più presto.
      Comunque mi trovi d'accordo con il tuo pensiero, Umberto ha il potere di ammaliare con le parole.
      Sicuramente questo romanzo ha la capacità di trasportarti oltre i confini del tempo e oltre i limiti dell'immaginabile.
      Quando avrò letto anche l'altro romanzo, potrò farmi un'idea migliore di quello che mi hai spiegato.
      Alla prossima e grazie ancora.
      Sharon.

      Elimina

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