La bambina senza identità
Nessun luogo avrebbe potuto nascondere Lucia dall'inferno che era diventata la scuola primaria e pensare che fino ad un anno prima quella stessa struttura era un autentico paradiso. Viveva in una piccola città dove tutti erano al corrente della disgrazia capitata alla sua famiglia.
La ditta di scatolame in cui lavorava suo padre aveva dichiaro fallimento e chiuso da un giorno all'altro. Senza più un soldo il padrone di casa li avevi sfrattati, senza preoccuparsi di mostrare un minino di comprensione.
L'essere costretti a rifugiarsi in macchina per sfuggire alle intemperie del tempo, non era il loro problema maggiore, l'assenza di cibo invece lo era eccome, esso rischiava di farli morire lentamente di fame.
Il padre abituato a mantenere la famiglia, si armò di coraggio e nonostante andasse contro tutto quello in cui credeva, fu obbligato ad andare a rubare al supermercato, finché non apprese dell'esistenza di un'associazione che serviva pasti caldi ai senza tetto.
Fortunatamente in quel luogo la madre e il padre di Lucia fecero amicizia con una coppia di signori anziani che diede loro la possibilità di usare il loro bagno, almeno così, la bambina poteva lavarsi e non puzzare di gas di scarico e di umidità.
Quel giorno a scuola Lucia avrebbe tanto voluto godersi la pausa pranzo insieme agli altri bambini, ma visto che loro continuava a prenderla in giro per la sua povertà, non ebbe scelta, se non quella di rifugiarsi nello stanzino delle scope.
La maestra Renata la trovò a singhiozzare ed ovviamente volle sapere se fosse successo qualcosa di brutto, ma lei non aveva una vera risposta, quel particolare giorno, nessuno aveva fatto commenti o battute sarcastiche, ma vedendo gli sguardi che le lanciavano non c'erano dubbi su cosa pensassero di Lucia.
<< Lucia non piangere, andiamo in cortile, ti farebbe bene un po' d'aria fresca >>
Il tentativo della maestra Renata funzionò molto bene, a Lucia serviva integrarsi col resto della classe, continuare a nascondersi avrebbe solo peggiorato la situazione, soprattutto quel giorno che i suoi pantaloni erano bucati e che quindi mostravano la sua candida pelle; tenere lo sguardo fisso a terra non migliorava di certo l'idea che la bambina dava di se stessa.
Nel cortile della scuola Renata vide i bambini impegnati a giocare a diverse attività di gruppo, incuranti di aver emarginato una coetanea perché diversa da loro.
Le scale che conducevano all'ingresso della scuola, avevano un piccolo muretto dove Lucia prese posto, la maestra invece preferì inginocchiarsi di fronte alla bambina spiegandole che non tutto quello che vedeva corrispondeva alla realtà dei fatti.
<< Quel bambino laggiù non ha nemmeno i genitori, vive solo con la nonna ed ormai è talmente anziana che a volte deve essere lui a curare lei e non viceversa come dovrebbe essere e anche se ride e scherza non vuol dire che non stia male. Quella bambina non ha il papà, l'ha abbandonata appena nata e la mamma non ha più trovato un altro compagno. Quel bambino invece non ha la mamma perché è morta di parto dandolo alla luce >>
Quei volti che sembravano confondersi con la massa avevano occhi spenti, il sorriso non li raggiungeva e lei lo vide bene ora che la maestra glielo aveva fatto notare.
Il suo cenno di assenso convinse Renata a continuare la sua spiegazione.
La cattiveria dei bambini derivava dal fatto che Lucia non si lasciava avvicinare da nessuno e poiché anche loro soffrivano e l'unico modo che avevano per esorcizzare quel dolore era riversarlo su altri innocenti e inconsapevoli, non rimaneva loro che giudicare senza conoscere veramente la situazione.
Lucia dal canto suo era abituata a chiudersi in se stessa, ma nemmeno quello era un buon metodo per affrontare i problemi.
Le spiegò di comprendere la situazione generale e di capire che nella vita anche in brutte situazione bisognava trovare sempre un lato positivo.
Lucia guardava perplessa intorno a se e quando finalmente capì la lezione più importante che potesse mai imparare a scuola, si incamminò con passo deciso verso la bambina con le treccine.
<< Ciao sono Lucia, vuoi giocare alla bambina povera e alla bambina senza papà? >>
Una di fronte all'altra, entrambe la bambine, si guardavano negli occhi, sembrava una specie di sfida di superiorità, ma in realtà stavano facendo conoscenza senza rendersene conto e quel momento fu l'inizio di una lunga amicizia che durò negli anni a venire.
Comportandosi normalmente la bambina riuscì ad integrarsi molto facilmente con il resto dei ragazzini, loro non rifiutarono mai la sua compagnia perché lei stessa per prima non prestava più attenzione alla sua precaria situazione e così pian pian non se ne ricordò nessuno.
Gli insegnanti organizzarono una raccolta di materiale didattico e di giocattoli da regalarle e ovviamente la bambina non pote far altro che accettare consapevole di aver imparato a convivere con se stessa e di non essere più un'esclusa.
A fine giornata Lucia fu molto felice di abbracciare e rivedere i suoi genitori, non le importava dove abitassero o cosa non avessero, perché aveva capito che l'unica cosa importante nella sua vita erano proprio il suo papà e la sua mamma; l'amore che le donavano ogni giorno era un bene prezioso e che non si poteva di certo comprare con i soldi.
Seduta ad una sedia poco stabile, una donna gracile, raccontava la storia della bambina senza identità ad un gruppetto di marmocchi che non stavano mai zitti.
Nessuno in quella stanza avrebbe mai pensato che proprio quella donna così autoritaria in realtà si chiamasse Lucia e che era proprio lei la bambina senza identità del racconto.
Parve strano associarla alla bambina che aveva smarrito la strada, la signora anziana aveva una bella casa in centro e una buona pensione dopo tutti gli anni di lavoro donati alla società e i suoi genitori vivevano tutt'oggi in una casa di riposo per persone benestanti.
Alla fine la donna spiegò loro di non crearsi problemi immaginari, di non sovraccaricarsi di pesi che non spettava a loro portare e soprattutto di vivere sempre a testa alta e di non dare mai agli agli il potere di screditarli.
Fine
Cosa ne pensate?
A presto, Sharon.
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